significati

“FIGA DI LEGNO” ed espressioni che vengono usate AD CAZZUM (dico così per par condicio eh)

Lasciamo perdere, per oggi, i motivi (che non sono tali) che portano spesso e volentieri maschi più o meno giovani ad etichettare una ragazza con l’ormai ricorrente epiteto “figa di legno”.
Non ritengo necessario addentrarmi su quali caratteristiche o presunte tali si vogliano attribuire alla malcapitata di turno, donna che spesso vive beatamente ignara del tutto (o vive beatamente conscia del tutto e se ne frega – perdonate il turpiloquio – com’è giusto che sia).
Fortunatamente, per quello che ho modo di sperimentare io, anche se questo viene detto in faccia all’imputata questa più di tanto non ci soffre: la sua mente elabora il messaggio e lo trasforma, forse per autoprotezione, in una sorta di “sostiene non sia una che la cala facilmente, poco male“.
Fin qui, quindi, sembra una di quelle etichette innocue (sempre che esistano delle etichette davvero innocue) che va beh, lasci che ti venga appiccicata addosso e morta lì, in fondo sembra quasi un complimento. Perché sostengo sembri quasi un complimento?
So che sembra un’affermazione bizzarra, ma la nostra cultura tende spesso a dividere in due poli opposti attributi e sostantivi: se non sei una di facili costumi, allora sei figa di legno.
Questi due poli opposti, come ben sappiamo fin da quando siamo piccoli, si chiamano “contrari“. Esempi? Beh, andiamo di cliché: bene/male, buono/cattivo, bello/brutto, felice/triste, alto/basso, magro/basso, altruista/egoista, veloce/lento, grande/piccolo, scuro/chiaro e via dicendo, potrei continuare ore ed ore a fornire esempi analoghi. Non proseguo perché ciò è già alquanto sufficiente per provare ad illustrare a voi ciò che mi è balenato per la mente, portando con sé
un alone di tristezza e sdegno non indifferenti. Il fatto è che spesso, per capire un significato, ricorriamo al suo contrario: se è già noto all’interlocutore (o a noi stessi), ci limitiamo ad asserire che il significato di Y (ignoto) è il contrario di X: gioco breve ed efficace.
Ancora peggio siamo propensi a credere che “Se una cosa non è X, allora è Y”.
Ciò senza dubbio comporta uno sgravio notevole della fatica, sia a chi spiega sia a chi ha come meta la comprensione di ciò che il segno – quale una parola o un’espressione – veicola. Ma questa procedura – come quasi ogni cosa velocizzi e semplifichi un’azione più complessa per il raggiungimento dello stesso obiettivo – ha i suoi contro. E il contro di questa non si riversa sul metodo o sul fine stesso, ma sulla forma mentis che abbiamo e, quindi, con cui guardiamo il mondo.
C’è chi, nostalgico dell’idealismo, sostiene che sia il pensiero che determini la realtà e, nello specifico, che sia con le parole che noi diamo sostanza e forma, quindi corpo, ai pensieri. Il che, direte voi, non è nulla di nuovo: vero, ma aggiungo io, non è nemmeno qualcosa di giusto.
Non è giusto nell’accezione più antica del termine, nel senso, direi io, di “conforme alla legge”. Quale legge? Quella etica, rispondo: quella che non avrebbe bisogno di regolamenti in un mondo utopico, perché sarebbe la voce della coscienza del singolo a comunicargli ciò che è giusto e ciò che non lo è.
Dicevo, altrimenti ci perdiamo in filosofie da bar (con tutto il rispetto per le fantomatiche filosofie da bar, che personalmente adoro), che tendiamo a pensare tutto in termini di opposto e contrario: il motto “Non è tutto o bianco o nero” riassume un po’ l’idea.
Andando sui sentimenti, se non è amore non è detto sia odio, anzi, è ben più facile sia affetto o al massimo indifferenza.
E invece no, cadiamo continuamente nell’inganno di confondere quelli che, nel quadrato semiotico di Greimas, vengono indicati come contrari e contraddittori. Il contrario di amore è odio (emisfero opposto), il contraddittorio di amore è non-amore (che vuol dire tutto e niente, in quanto, in termini insiemistici, sarebbe tutto l’insieme U-amore). Ci sfugge il fatto che negare una cosa A non voglia dire affermare il suo opposto B.

Arriviamo al punto cruciale, a quello che dà il titolo al post di oggi: “Figa di legno” è il contrario di “Ragazza facile”.
Credo che il problema sia a monte, nel senso che non è chi interpreta ad essere in errore, ma chi formula tale sentenza: sono convinta che pensino “Non è facile portarsela a letto” e taaac, si accende l’insegna luminosa con la scritta “figa di legno” e via, la dice.
Trovare il significato di perifrasi gergali e poco raffinate come questa è un’impresa poco facile. Ho provato a cercare nel web, ma sono in pochi a parlarne e ancora meno a parlarne seriamente (per quanto seriamente si possa parlare di una cosa del genere).
Mi accingo quindi non tanto nell’elaborazione di una definizione mia – perché se potessi eliminerei seduta stante l’epiteto in questione dalla faccia della terra o,
almeno intanto, dalla bocca della gente – ma nel farvi riflettere su ciò che ha fatto riflettere (ahimé) me medesima.

*Stai per leggere parole poco auliche e a sfondo sessuale se sei maggiorenne e soprattutto non bigotto puoi continuare. Viceversa fermati e non mi mandare mail o commenti in cui esprimi il tuo terribile et incurabile fastidio nei confronti di ciò*
FIGA“: termine gergale atto ad indicare l’organo sessuale femminile o, per estensione (e sottolineo ESTENSIONE, tra pochissimo vediamo perché) una
creatura femminile di aspetto gradevole, in grado di suscitare la libido in chi guarda
DI“: preposizione semplice, in questo caso, regge il complemento di materia quale
LEGNO“: légno s. m. [lat. lĭgnum] a) Sotto l’aspetto merceologico, il materiale fornito dai tronchi delle gimnosperme delle dicotiledoni e che viene usato per lavori di falegnameria o per altri usi. b)Come indicazione generica della materia, senza specificazioni: una tavola, un’asse, un bastone di l.; mobile, impiantito,statua di l.; scultura, incisione in l.; cavallino di l.; un pirata con una gamba di legno. È assunto talora come simbolo della durezza: questa carne è dura come il l.;testa di l., testa dura, persona di scarso ingegno o cocciuta.
Ora, per quanto io mi possa sforzare di dare un senso al tutto, potrei pensare al fatto che “di legno” alluda al significato simbolico di tale parola, ovvero alla durezza (qui nel senso di resistenza, chiusura, non accondiscendenza). Però, ancora peggio c’è il fatto che diventi una sorta di metonimia, nel senso che quella ragazza non HA la figa di legno, ma E’ una figa di legno. Lo stesso espediente che si usa per evidenziare l’avvenenza di una donna: “è figa”.

Purtroppo, scrivevo sopra, il linguaggio spesso dà corpo ai pensieri e la scelta del lessico la dice lunga sugli stessi.
Il fatto che gli uomini indichino attributi della donna quale bellezza o titubanza/poca accondiscendenza alle richieste sessuali altri la dice non lunga, lunghissima; a maggior ragione perché un uomo piacente è “figo”, non “pene” e non “cazzo”.
E’ l’organo riproduttivo femminile (stranamente eh) ad essere storpiato e volgarizzato per indicare una serie di attributi che, in modo più o meno diretto, rimandano alla sfera del sesso: ancora peggio, che sia una metonimia emblematica della concezione della donna nella cultura – quasi mi infastidisco a definirla così, ma tant’è – che c’era/c’è nel nostro bel Paese. E’ come dire, insomma, che una donna può essere benissimo indicata con l’organo che possiede, e che le sue disposizioni d’animo e caratteriali siano riassumibili nella “gestione” che colei ha della propria Jolanda. E’ un’espressione che, senza che ce ne rendiamo conto, si piazza assieme a tutte le affermazioni del tipo “Avrà fatto carriera perché l’ha data al capo”. Io, da donna che il più delle volte ha molto pudore e si fa mille problemi, mi sento comunque violata da tutto ciò: la mia vita sessuale non è lo specchio della mia vita in toto. E’ una sfera intima, la prima: la rispetto e la tratto con cura, cerco di essere una persona degna ma non vorrei comunque mai e poi mai essere giudicata come persona sulla base di quello. Invece, lo ammetto, è capitato pure a me di sentirmi dire o di venire a sapere di epiteti da parte di gente che a malapena mi conosce e ipotizzava (spacciando per certezza) mie disposizioni nei confronti del sesso. Sono etichette che fanno, subdolamente ma abilmente, passare in secondo piano tutte le altre caratteristiche che noi donne abbiamo o cerchiamo di avere, in primis come persone. E’ un gioco di omologazione ai fini di suddivisione: siamo tutte sostanzialmente uguali > la discriminante più importante è la disponibilità > ora devo solo capire se sia una zoccola o una figa di legno. Wow.

Dopo questo sermone sulle parole e sull’uso che ne facciamo, non posso esimermi dal sottolineare, ancora una volta, quanto il lessico che scegliamo per parlare di qualcuno o qualcosa sia un’arma potentissima. Il lessico ci denuda, mette allo scoperto i nostri pensieri, anche quelli che tante volte ignoriamo di avere: è dal lessico che si evince la cultura di un popolo e, nel piccolo, la cultura di ogni singolo uomo. Ci sono parole e perifrasi che vanno “di moda”, e quella trattata oggi appartiene a questa categoria. Ma la moda, si sa, non è sinonimo di “giusto” (per tornare a quanto discusso prima) ed essere moderni è qualcosa che va oltre la moda nel 2014. Essere moderni, secondo il mio modesto parere, è essere liberi da pregiudizi. E’ essere consapevoli di ciò che si pensa, ciò che si dice, ciò che si fa e ciò che tutto comporta. Parlare a vanvera usando espressioni che inglobano e portano alla ribalta credenze poco nobili non è essere moderni, ma essere coglioni.

E pure io lo sono spesso, solo che poi ci penso ed evito di rincarare la mia dose di errori: anzi, se posso non appena ne ho l’occasione mi spiego, cerco di rimediare.

E’ vero che le parole non le abbiamo inventate noi, ma è vero anche – e questa è la cosa più bella ed importante – che possiamo scegliere quali utilizzare, come assemblarle e come veicolare i significati. Pescare alla cieca dal cassetto dei lemmi seguendo l’impeto di dire qualcosa può provocare come minimo fraintendimenti.

E, per sistemare quelli, ci vuole sicuramente più tempo di quello “risparmiato”. Forse, prima ancora di cercare di addomesticare la nostra “ansia da sentenza”, basterebbe iniziare a non pensare che se una non è bella allora è brutta, che se non è magra allora è grassa, che se non è facile allora è frigida.

Il mare che c’è tra la costa del + e la costa del – racchiude in sé un numero di accezioni ben più ampio di quelle presenti tra + e -: sarebbe sufficiente prenderne atto e lessicalizzare (laddove non sia già stato fatto) quel terreno inesplorato, per non ritenerlo insidioso e nemico solo perché completamente sconosciuto.